Con un'estensione di 10 milioni di km quadrati tra Europa, Africa, Nord e Sud America (che all'epoca erano ancora unite nella Pangea), la CAMP è la provincia magmatica più vasta come superficie.
Indagarla è particolarmente importante perché la sua formazione circa 201 milioni di anni fa, è legata ad un evento di estinzione di massa che alla fine del Triassico portò alla scomparsa di circa i due terzi delle forme di vita allora presenti sul pianeta e fu alla base di enormi cambiamenti climatici e dell’apertura dell’Oceano Atlantico.
Un nuovo studio a cui hanno partecipato anche ricercatori del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e recentemente pubblicato su Earth and Planetary Science Letters si è soffermato sulle dinamiche di mantello che hanno portato alla formazione della CAMP e alle interazioni con la litosfera. Più nel dettaglio gli autori hanno utilizzato un modello geochimico che sfrutta la composizione in elementi in traccia dei magmi della CAMP per cercare di determinare alcune caratteristiche quali la pressione e la temperatura di fusione del mantello e lo spessore della litosfera che delimitava questa zona di fusione.
Il risultato principale è che la litosfera al momento della formazione della CAMP era di circa 80 km, uno spessore relativamente ridotto rispetto alla litosfera normale. “Questo dato è significativo per la CAMP perché per questa provincia magmatica è la prima volta che viene determinato con precisione ma non è del tutto sorprendente in quanto valori simili sono stati proposti anche per altre province magmatiche”, spiega Andrea Boscaini, dottorando del Dipartimento di Geoscienze e primo autore dello studio.
"Abbiamo potuto testare la veridicità dei risultati confrontando la posizione dei magmi della CAMP con alcuni modelli tomografici che rappresentano la struttura dei cratoni presenti al momento della formazione della stessa CAMP”, aggiunge Boscaini.
I cratoni sono zone di litosfera più spessa che arrivano anche a 200 km di profondità e in particolare i cratoni presenti in Africa Nord-occidentale, Sudamerica e Nordamerica sono stati studiati attraverso tomografie sismiche pubblicate da altri gruppi di ricerca.
"Noi abbiamo confrontato la posizione dei magmi della CAMP rispetto alla struttura di questi cratoni e abbiamo verificato che questi magmi si sono messi in posto in corrispondenza dei bordi di questi cratoni e non al centro. Questo risultato è coerente con la nostra scoperta, cioè con una litosfera assottigliata di 80 km in quanto i cratoni probabilmente sono serviti da barriere fisiche naturali per la risalita del mantello astenosferico e per la fusione di questo mantello in zone di litosfera assottigliata”, approfondisce Andrea Boscaini.
Abbiamo quindi creato un modello generale per la formazione della CAMP in cui i cratoni rappresentano delle barriere per la risalita del mantello, il mantello convettivo risale sui bordi del cratone e va in fusione in corrispondenza di una litosfera assottigliata
Un altro risultato importante reso possibile dal modello geochimico utilizzato nello studio riguarda l’identificazione di temperature e pressione di fusione del mantello per i vari gruppi di magmi della CAMP. “In particolare un mantello astenosferico arricchito da materiale crostale, probabilmente a seguito di precedenti subduzioni, può essere identificato come la principale sorgente dei magmi della CAMP in quanto le temperature di fusione si aggirano tra i 1.420 °C e i 1.460 °C.
Un gruppo geochimico di magmi, gli high-Ti basalts, che si trova tra il Sudamerica e il Nord Africa è caratterizzato da pressione e temperature di fusione più elevate, il che potrebbe essere indicativo dell’attività di un plume, cioè di una risalita di un mantello più profondo del mantello astenosferico convettivo classico. Questo aspetto è sempre stato dibattuto nel caso della CAMP, ma i nostri risul-tati sembrano confermarlo, aiutandoci a dare un’interpretazione più generale e completa della formazione della CAMP, conclude Andrea Boscaini.
Per il Dipartimento di Geoscienze hanno partecipato allo studio anche il professor Manuele Faccenda e la professoressa Christine M. Meyzen.