Le inclusioni contenute nei diamanti sono testimonianze dirette e inalterate dei processi avvenuti nel mantello terrestre miliardi di anni fa, a profondità che altrimenti sarebbe impossibile indagare. Ecco perché la loro presenza, anche se può diminuire la preziosità del diamante come gemma, ha un immenso valore scientifico che consiste nella possibilità di ottenere informazioni molto importanti sul passato del nostro pianeta.
I tipici diamanti nei nostri gioielli si sono infatti formati ad alte profondità nella Terra fino ad oltre tre miliardi di anni fa, risalgono in superficie attraverso magmi profondi che risalgono durante eventi vulcanici molto rapidi, detti “kimberlitici”. Queste particolari condizioni, unite alle straordinarie proprietà di materiale estremamente rigido e chimicamente inerte, consentono ai diamanti di conservare informazioni essenziali per studiarne la formazione nel mantello terrestre. Ciò rende questo minerale di grande interesse per gli scienziati e rappresentano un importante mattone dello studio dell'evoluzione dell'interno del nostro pianeta.
Più in dettaglio, lo studio dei diamanti ha fornito importanti dati sulla geodinamica e sul ciclo profondo del carbonio fino a 3.5 miliardi di anni fa. Da questo punto di vista, l'età dei diamanti è fondamentale per collocare correttamente le informazioni raccolte nella storia della Terra. Ad oggi, il diamante da solo non può essere datato, ma la sua età può essere calcolata attraverso l'applicazione di un sistema di datazione radiogenica sui minerali che potrebbe aver intrappolato durante la sua crescita, che vengono chiamati “inclusioni”. In altre parole, per datare i diamanti dobbiamo prima datare le loro inclusioni e in secondo luogo supporre che l'età calcolata possa effettivamente essere associata alla formazione del diamante. Questo può essere facilmente assunto quando il diamante e l'inclusione si sono formati contemporaneamente dallo stesso processo, ma cosa succede se l'inclusione è precedente al diamante? Questo caso deve essere valutato in termini di tempo necessario riequilibrare il sistema isotopico, e quindi, per azzerare l'orologio radiogenico. Se è rapido, il minerale può riequilibrarsi isotopicamente durante la formazione del diamante e fornire età correlate al loro intrappolamento durante la cristallizzazione del diamante.
Un nuovo studio condotto presso il Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Padova e recentemente pubblicato su "Geology", ha recentemente valutato l'affidabilità del sistema di datazione Sm-Nd applicato alle inclusioni di clinopirosseno per datare i diamanti, quando sono preesistenti rispetto al diamante. Esistono infatti tre principali sistemi radiogenici per la datazione dei diamanti: il sistema Re-Os nei solfuri, Sm-Nd nei granati e Sm-Nd nei clinopirosseni. È stato dimostrato che il solfuro e il granato sono cronometri affidabili per la datazione dei diamanti, ma prima di adesso non è mai stata effettivamente fatta una valutazione per il clinopirosseno, sebbene sia stato molto utilizzato. In questo lavoro, gli autori hanno studiato 54 inclusioni di clinopirosseno in 18 diamanti in tutto il mondo con un approccio cristallografico e hanno fornito la prova che non è raro che le inclusioni di clinopirosseno si possano formare prima del diamante. La modellizzazione numerica della diffusione di Nd nel clinopirosseno è risultata in tempi geologicamente lunghi per il riequilibrio di questo sistema isotopico alle condizioni tipiche per la formazione del diamante nel mantello cratonico (tra 900 e 1400°C) e per le ordinarie dimensioni delle inclusioni (da 0.05 a 0.5 mm, con valori medi di 0.1 mm). Ad esempio, a temperature di 1150°C, l'orologio radiogenico nei grani di clinopirosseno più grandi di 0.05 mm si ripristina in più di 3.5 milioni di anni, ma questi tempi sono due ordini di grandezza più lunghi se consideriamo 100°C in meno.
Questi risultati indicano che le età calcolate attraverso il sistema di datazione Sm-Nd sulle inclusioni di clinopirosseno, se preesistenti, potrebbero essere più antiche dell'età effettiva del diamante. E più bassa é la temperatura, maggiore è la possibilità che le età calcolate non siano corrette. In quest'ottica, gli autori hanno suggerito di considerare che, se possibile, è auspicabile un'attenta selezione di inclusioni di piccole dimensioni e temperature elevate, nonché un'analisi accurata delle relazioni temporali di crescita di diamante ed inclusioni.
Leonardo Pasqualetto, dottorando del Dipartimento di Geoscienze e primo autore di questo lavoro, ha commentato: “Questo metodo è stato fin dagli anni '80 uno dei principali per datare i diamanti, ma una valutazione della sua affidabilità, quando il clinopirosseno si è formato prima del diamante, non era mai stata fatta con precisione. È grazie a queste metodologie che sappiamo che i diamanti possono essere così antichi, ma è necessario essere consapevoli delle limitazioni che hanno. Questo lavoro dà un'idea di ciò e fornisce una quantificazione, sebbene preliminare, di quanto l'età calcolata con questo metodo possa effettivamente deviare dall'età del diamante in determinate condizioni.”
Questo lavoro è stato condotto anche dal Prof. Fabrizio Nestola, dal Prof. Paolo Nimis e dalla Dott.ssa Martha Pamato Dipartimento di Geoscienze, in collaborazione con un team internazionale composto dalla Prof.ssa Dorrit Jacob della Research School of Earth Sciences dell'Australian National University (Canberra, Australia), Dott. Benat Oliveira del Department of Earth and Planetary Sciences della Macquarie University (North Ryde, Australia), Dr.ssa Samantha Perritt e Dr.ssa Ingrid Chinn della De Beers Exploration (Southdale, Sud Africa) , la Dott.ssa Sula Milani del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Milano (Milano, Italia) e il Dott. Jeffrey Harris della School of Geographical and Earth Sciences dell'Università di Glasgow (Glasgow, Regno Unito).